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Storia di ordinaria repressione sionista 



L'intervista che pubblichiamo ci è stata concessa da una giovane sorella libanese che ha trascorso più di un anno in un campo di concentramento israeliano nella zona da questi occupata nel sud del Libano e affidata ai mercenari del generale Lahad.

Il carcere situato sulla sommità di una collina, nel paese di Al-Khiam, era precedentemente una caserma dell'esercito libanese, da più di dieci anni gli ebrei lo hanno adibito a carcere punitivo per tutti coloro, uomini e donne, che sono sospettati di intesa con la resistenza libanese.

Durante il corso dell'intervista taceremo, per ovvi motivi, il nome della sorella.

 

D. Perché è stata arrestata?

R. Apparentemente senza nessun motivo plausibile, comunque nella zona occupata del sud del Libano, una giovane donna che porta lo hejab, frequenta l'università, guida l'auto e si reca spesso a Beirut è, agli occhi degli ebrei, guardata con sospetto.

D. Quale è la zona occupata?

R. E' una zona montuosa di circa 30 Km di profondità che i sionisti hanno, più o meno, sotto il controllo e dalla quale possono agevolmente controllare i vari villaggi che si estendono nella zona.

Tutto il sud del Libano è diviso in sette piccole provincie di cui 4 totalmente o parzialmente occupate dai mercenari di Lahad.

D. A proposito dei mercenari potrebbe darci qualche notizia su di loro?

R. E' una milizia al soldo degli ebrei, i comandanti sono ex ufficiali dell'esercito libanese. Ci sono tra di loro anche delle donne che hanno il compito di spiare gli abitanti dei villaggi. In questi ultimi mesi, a causa delle azioni degli Hezbollah, c'è grande confusione e incertezza tra di loro.

La televisione degli Hezbollah rivolge frequenti inviti ai mercenari invitandoli ad abbandonare i sionisti prima che per loro sia troppo tardi e ricevano la giusta punizione.

In questi ultimi tempi, nonostante gli sforzi che gli ebrei fanno per tenerli con loro, sono numerosi i giovani che hanno disertato ed alcuni sono stati, a loro volta, rinchiusi nelle carceri israeliane.

D. In che modo è avvenuto il suo arresto?

R. Quel giorno mi sono recata con mia cugina al cimitero in occasione del primo anniversario della morte di mia madre.

Al ritorno verso casa sono stata raggiunta da una camionetta con tre mercenari che mi hanno invitata a seguirli nei loro uffici per svolgere una formalità affermando che mi sarei sbrigata in dieci minuti.

Sono stata condotta nel carcere di Al-Khiam e davanti a me si sono aperti diversi cancelli, alla fine sono arrivata in una specie di grande palestra all'aperto ove una secondina mi ha preso in consegna, mi hanno coperto il capo con un cappuccio che mi impediva completamente di vedere e mi ha ammanettata. Evidentemente si comportano in questo modo per umiliare il prigioniero e anche per motivi di sicurezza, poiché stando bendato è impossibilitato a prendere nota dei luoghi.

D. In carcere le è stato permesso di portare l'Hejab?

R. Sono stata condotta dalla carceriera in una stanza dove mi ha fatto spogliare completamente e perquisita, sono stata privata di tutti gli oggetti di metallo compreso l'orologio. Uno dei loro scopi è quello di far perdere al prigioniero la cognizione del tempo.

Temevo che mi avrebbero lasciata senza i miei vestiti, invece la donna mi ha fatto rivestire con i miei abiti, solamente che al posto dell'hejab mi ha fatto mettere un cappuccio che mi impediva completamente di vedere e sempre ammanettata mi ha condotta in una stanza dove si sentivano voci di uomini.

Mi hanno chiesto le mie generalità, notizie sulla mia famiglia e i miei tratti somatici.

Durante questo primo breve interrogatorio ero incappucciata, quindi completamente cieca, oltre che ammanettata. In quel momento ignoravo che sarei rimasta in quelle condizioni per tutta la durata degli interrogatori, ossia per oltre venti giorni.

Dopo il primo interrogatorio sono stata condotta in una stanza ove mi sono state tolte le manette ed il cappuccio per circa mezz'ora.

Era una stanza umida e molto fredda (era d'inverno), in un angolo un sottile materasso con accanto del cibo in un piatto.

Ho mangiato velocemente e immediatamente dopo sono tornata cieca e ammanettata.

La donna mi ha guidata in un'altra stanza ove ho potuto ascoltare le voci di diversi uomini e lì è incominciato il vero interrogatorio.

D. In che modo si svolgono gli interrogatori?

R. Gli interroganti sono diversi, ognuno con un ruolo ben definito, i prigionieri vengono interrogati tre, quattro volte al giorno e non hanno limite di tempo, generalmente durano dalle due alla cinque ore.

All'inizio mi hanno chiesto quale è il mio compito nella resistenza, dando per scontata la mia appartenenza al Movimento Hezbollah.

Ho risposto: "Se lo sapete perché me lo chiedete", "Vogliamo saperlo da te" è stata la risposta. Da questo loro atteggiamento ho dedotto che ignoravano tutto sul mio conto.

Volevano notizie sui miei familiari e sui miei contatti a Beirut, più volte mi hanno costretto a narrare la storia della mia vita fin dalla nascita.

Essi miravano in realtà a fiaccare la mia resistenza psichica facendomi narrare infinite volte le vicende della mia vita.

Ad esempio, uno mi diceva di raccontare anche i minimi particolari ed un altro di non dilungarmi in episodi senza importanza.

Sono stata interrogata per venti giorni durante lo svolgimento dei quali sono sempre stata incappucciata e ammanettata.

Generalmente per le donne l'interrogatorio dura un mese, per gli uomini invece non vi sono limiti di tempo.

I venti giorni dell'interrogatorio sono stati per me terribili, equivalgono a dieci anni di prigionia, per come venivano svolti, costretta a stare sempre incappucciata, a volte mi sembrava di soffocare.

Gli interroganti a volte sono quasi suadenti, altre minacciosi, è un inferno.

D. E' stata mai torturata?

R. Si, il terzo giorno.

Uno degli aguzzini mi disse: "O parli o saremo costretti a picchiarti", alla mia affermazione che non avevo niente da dire ha incominciato a colpirmi sui piedi nudi con qualcosa di sottile ma estremamente doloroso, ho pianto dal dolore, esclamando: "Non ho niente da dire". Allora il torturatore ha incominciato a colpirmi sulle mani, sentivo molto dolore, "Basta, ora parlo" ho gridato, mi hanno fatto sedere ed io ancora gridando esclamo: "Non ho niente da dire".

A questo punto l'uomo ha minacciato di abbandonarmi nuda in mezzo ai soldati, ho avuto paura ed ho incominciato ad inventarmi delle cose di sana pianta che però potevano essere considerate verosimili.

Non l'avessi mai fatto, per loro sono diventata una dirigente della Resistenza Islamica e gli interrogatori sono continuati con maggiore intensità, a volte anche di notte.

E' stato terrificante, indescrivibile, completamente cieca, senza conoscere il giorno e l'ora, ero in balia di questi individui che non hanno nessun rispetto per le donne, essi non hanno esitato a rivolgermi domande intime.

Durante questi venti giorni sono stata picchiata più volte, mi dicevano: "Devi parlare altrimenti saremo costretti a torturarti con le scariche elettriche".

Avevo paura poiché sapevo, con certezza, che con i prigionieri usavano simili metodi; una volta, durante l'interrogatorio, ho udito urla terribili venire dalla stanza accanto dove interrogavano gli uomini.

D. In questo lager sono mai entrati osservatori della Croce Rossa Internazionale?

R. I parenti dei carcerati si sono a più riprese appellati alle organizzazioni umanitarie internazionali, soprattutto dopo che un ragazzo libanese è morto in seguito alle torture subite, nonostante che gli ebrei a più riprese abbiano smentito ogni forma di tortura.

Finalmente è intervenuta la Croce Rossa, noi prigionieri ci siamo accorti che doveva accadere qualcosa poiché qualche mese prima della visita della Croce Rossa, il carcere è stato pitturato e sono stati costruiti i servizi igienici che prima erano inesistenti.

La commissione ha interrogato i detenuti e visitato i vari reparti ma la direzione del carcere è riuscita ad evitare che venisse scoperta la stanza delle torture; comunque una giornalista francese, al seguito della commissione, non è caduta nell'inganno e sulla stampa ha dato ampio risalto alle inumani condizioni di vita del lager.

D. Durante gli interrogatori dove trascorreva la notte?

R. Dormivo da sola in una stanza accanto a quella ove venivo interrogata; i miei carcerieri non volevano che comunicassi con le altre donne altrimenti mi avrebbero detto di non credere alle loro promesse di libertà se accettavo di collaborare.

Finiti dopo circa venti giorni gli interrogatori, sono stata trasferita in una stanza piccolissima, ove a stento potevo starci, con le mura che grondavano acqua, molto fredda e al buio.

Vi sono stata per tre giorni e mi debbo considerare fortunata, altre prigioniere vi sono state anche per un mese.

Dopo questi tre giorni mi hanno trasferita in una stanza assieme ad un'altra ragazza. Una camera di circa 3m X 3m con un bidone dell'esercito israeliano che serviva per i nostri bisogni e veniva svuotato una volta al giorno; eravamo più fortunati degli uomini, essi, generalmente, stanno in 6 o 7 in una stanza ed il secchio a volte rimane dentro anche due settimane.

Di estate questo odore maleolente si diffonde per tutto il carcere.

D. C'erano altre donne prigioniere?

R. Si, qualche tempo prima del mio arrivo le donne erano dalle 40 alle 50, dopo eravamo in sei.

All'interno del carcere ci sono due tipi di donne: quelle che hanno collaborato con la resistenza islamica, convinte ideologicamente e non pentite ed altre, spesso contadine, che in buona fede hanno ammesso di aver visto qualcosa o hanno parenti nella resistenza islamica.

D. Tutti i prigionieri appartengono alla Resistenza Islamica?

R. La quasi totalità ma ci sono anche comunisti e nazionalisti.

Comunque fra tutti i detenuti c'è un forte spirito unitario, essi sanno che sono lì per lo stesso motivo di sempre: combattere il nemico sionista e i suoi mercenari….

Comunque vi sono giovani che sono entrati in carcere comunisti e sono usciti, grazie a Dio, Credenti; nel lager hanno incominciato a leggere il Corano e a pregare, hanno preso coscienza che il marxismo è anche esso una faccia della miscredenza.

C'è in carcere una ragazza che è lì da sette anni e non gode del regime a cui sono sottoposte le altre detenute. Dal giorno che è stata arrestata è sempre vissuta in totale isolamento.

Il suo nome è Suhei Besciarat di anni 29, comunista, sette anni orsono, attentò alla vita dei mercenari Lahad che rimase ferito.

D. Le altre donne sono riuscite a vederla?

R. Nel lager è assolutamente vietato parlare tra di noi tranne che con la propria compagna di cella. Capita però che, a volte, quando andiamo a vuotare il bidone con gli escrementi, la porta della stanza ove è segregata Suhei è socchiusa e così è stato possibile intravederla.

D. Durante il giorno i prigionieri possono "prendere l'aria"?

R. Le donne solamente per quindici minuti al giorno, mai tutte insieme ma una stanza alla volta.

Gli uomini solamente una volta al mese.

Per tutti è assolutamente vietato parlare "durante l'aria", il loro obiettivo è quello di impedirci di comunicare tra di noi e con l'esterno.

D. Come sono i rapporti tra le donne?

R. Allorché una ragazza, ultima arrivata, è reduce da un interrogatorio durato circa un mese, trascorso incappucciata e ammanettata, è psicologicamente distrutta. E' compito della compagna di stanza, più anziana, rincuorarla. Dopo qualche tempo la nuova venuta è in grado, a sua volta, di essere di aiuto ad una nuova prigioniera.

D. Come fanno le recluse per comunicare tra di loro?

R. Cantando, oppure gridando quando i guardiani sono nelle loro camere a guardare la televisione.

D. Generalmente le persone processate quanti anni debbono restare in carcere?

R. Non è stato mai celebrato alcun processo, la gente rimane dentro a completa discrezione dei responsabili del lager.

Teoricamente potrebbe starvi anche tutta la vita.

Se poi un prigioniero è considerato particolarmente importante o pericoloso viene consegnato agli ebrei e condotto nella Palestina occupata.

Ho conosciuto in carcere una donna libanese di 32 anni che è stata condotta nel lager all'età di 16 anni ed è stata liberata assieme a me.

Maniet Ramadan, è questo il suo nome, abita in un villaggio a ridosso della zona occupata e i suoi fratelli che sono Hezbollah la incaricarono di segnalare le mosse delle pattuglie israeliane, fu denunziata da una spia.

Durante l'interrogatorio rimbeccò i suoi aguzzini parola per parola, senza alcun timore. Per tale motivo spesso veniva picchiata e posta in isolamento.

Ogni qualvolta, ascoltando i passi, si accorgeva che arrivavano nuove prigioniere gridava: "Non parlate, loro non sanno niente, non vi demoralizzate. Dio è con noi".

Comunque lei non è l'unica a tenere una simile condotta ma, certamente, è quella che lo ha fatto con più costanza.

D. Riuscivate a comunicare con l'esterno?

R. Si, tramite le nuove arrivate. Inoltre, Suhei Besciarat ha il muro della sua cella in comune con quello degli uomini, che arrivano a decine in una settimana, lei ascolta le notizie e le comunica. Ha un orecchio attentissimo, a volte riesce a sentire i discorsi degli stessi carcerieri e quindi informare le ragazze cantando in francese.

Suhei ha sviluppato dei sensi eccezionali dovuti alla sua condizione di isolamento. Attraverso i rumori dei passi può capire se si tratta di prigionieri o di guardiani e se questi ultimi la stanno spiando.

D. Le donne che vi custodiscono, come si comportano nei riguardi delle detenute?

R. Sono estremamente cattive, odiano i Musulmani. La loro dirigente, una donna di circa 60 anni, è la peggiore di tutte.

Ad esempio se sorprendono qualche ragazza a parlare con un'altra detenuta le versano addosso prima un secchio d'acqua freddo e poi uno caldo.

D. Gli ebrei vengono nel lager?

R. Ogni mercoledì e quel giorno ci obbligano a chiudere i finestrini per impedirci di memorizzare i volti dei comandanti e dei soldati schierati.

D. La stampa occidentale, parlando dei mercenari libanesi, ha scritto che tra di loro c'è molta perplessità sul loro futuro e sulla sorte a cui andrebbero incontro…

R. E' vero, durante la mia prigionia ho notato che negli ultimi tempi hanno cambiato atteggiamento nei nostri riguardi, ad esempio prima se ci vedevano pregare ci picchiavano, attualmente no. Si rendono conto che il loro destino è molto incerto, sempre più spesso sono oggetto di attentati da parte della Resistenza Islamica, così come lo sono i capi villaggio messi dagli ebrei per controllare gli abitanti.

D. Dopo quanto tempo è stata liberata?

R. Dopo poco più di un anno.

Una mattina è venuta una guardia e mi ha detto di seguirlo. Le ragazze hanno subito capito che stavo per essere liberata.

Sono stata condotta dal direttore del lager, nella stanza era presente anche il cosiddetto "responsabile del villaggio", mi hanno fatto firmare un foglio nel quale ho dichiarato che "non farò più del male alla mia zona" e qualora lo facessi mi consegnerei spontaneamente.

Poi il direttore mi ha detto: "Hai visto, per quello che hai fatto, hai perso un anno della tua vita, mentre i tuoi capi sono tranquilli a Beirut".

Sono frasi che essi dicono ma sanno benissimo che non sortiscono effetto alcuno.

Vorrei aggiungere che tra i prigionieri, non molti per la verità, ci sono anche nazionalisti, comunisti, socialisti nasseriani ecc. ebbene la quasi totalità ne esce sinceri Musulmani.

Suhei Besciarat, la ragazza comunista che è rinchiusa da sette anni in carcere è diventata Credente ed esorta le ragazze ad avere pazienza e a resistere, citando l'esempio dell'Imam Husseyn (a).

D. Come avvengono queste conversioni?

R. Sono colpiti dalla pratica religiosa dei Musulmani ed inoltre in questi momenti di grande disagio l'uomo si rende conto che ha bisogno di Dio.

D. Cosa significa per un Credente trascorrere un periodo in carcere?

R. Un Credente da una esperienza del genere non può che uscirne vincitore, prima di tutto per la consapevolezza di aver tenuto testa ai nemici dell'Islam. Ciò aumenta la determinazione e la fede in Allah per cui la malattia e la distretta hanno meno influenza su di lui.

Quasi tutti i prigionieri escono dal carcere ammalati, pochi sono coloro che riescono a recuperare totalmente il loro fisico.

Tra i detenuti si è sviluppato un grande rapporto di fratellanza che ci lega a coloro che sono ancora sequestrati, mai ci dimenticheremo di loro.

Concludendo, vorrei dire che tutti i prigionieri ad una maggiore determinazione politica uniscono la certezza che viene da Allah che la vittoria finale sarà dell'esercito del Mahdi (a) e dell'Islam.

 


Tratto da "IL PURO ISLAM".
Via Confalone, 7
80136 - Napoli - Italia
Tel. (+39)0815441587


"Israele come stato ebraico costituisce un pericolo non solo per se stesso e per i suoi abitanti, ma per tutti gli ebrei e per tutti gli altri popoli e stati del Medio Oriente e anche altrove."

- Prof. Israel Shahak, ebreo israeliano e direttore della lega israeliana per i diritti umani e civili


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